“In europa è Jihad” potrebbe continuare oggi, con il capitolo che riguarda la Francia. Non è un caso. Oggi si svolgeranno delle elezioni che forse daranno un’impronta diversa al futuro di questo Paese. Vorrei dare un mio piccolo contributo.
Ciò che sto scrivendo ora è solo un’introduzione “importante” e, nel contempo, un inadeguato omaggio a Samira Bellil, autrice del libro “l’Enfer des Tournantes” una discesa negli inferi delle banlieues, dove tante ragazzine di 13, 14 anni, bianche o figlie d’immigrati di religione musulmana, sono costrette a subire gli insulti e le umiliazioni dei loro coetanei per imparare ad essere sottomesse, “ ad abbassare gli occhi”, quando per le strade di quelle periferie incrociano dei ragazzi musulmani. Coloro che si ribellano a questo codice barbaro o semplicemente desiderano vivere come tante loro coetanee occidentali, rischiano di diventare le vittime di stupri di gruppo pianificati da bande di giovanissime belve che non si fanno scrupolo di ripetere le violenze per settimane e per mesi, “passandosi” le giovani sventurate come se fossero delle figurine.
Da qui l’appellativo “tournantes”.
Samira Bellil nacque ad Algeri nel novembre del 1972, la famiglia si trasferì a Parigi dove il padre finì subito in carcere per piccoli reati. Samira era piccolissima quando fu spedita in Belgio e affidata ad una famiglia con la quale visse spensierata e felice per quasi cinque anni. Tornata in Francia, ritrovò una famiglia distante, un padre violento, un’educazione diversa. I giorni sereni del Belgio erano ormai lontani.
A questo proposito, all’uscita del libro disse :
Io non accettavo l’educazione tradizionale. Anche se la mia famiglia era musulmana non praticante, la linea-guida era la medesima : non uscire, non frequentare i ragazzi, occuparsi delle faccende di casa, delle sorelle piccole… Ma io volevo sentirmi libera, non vivere sottomessa, né imprigionata in casa, come le ragazzine che vedevo intorno a me.
Aspiravo alla stessa libertà di un maschio. Ero ancora più confusa e sconvolta da quest’educazione fatta da divieti, da queste disparità tra ragazze e ragazzi, perché avevo vissuto i miei primi cinque anni in Belgio, presso papa Jean e maman Josette, dove le regole erano molto diverse.
Io sono il frutto di due stili di vita completamente contraddittori..
A Rose George, la giornalista del Guardian che la intervistò nel 2003, raccontò che le sue continue scorribande nelle strade del quartiere, ed i suoi atteggiamenti da ribelle, non passarono inosservati in un ambiente maschilista dove le ragazze avevano l’obbligo di seguire delle regole per salvaguardare la loro reputazione. Chi sgarrava, magari solo perché si truccava o beveva un bicchiere di troppo, rischiava di essere considerata una “facile”, una puttana.
Le conseguenze non sarebbero tardate ad arrivare.
A quattordici anni Samira fu violentata per la prima volta. Cadde nella tipica trappola dei “tournantes”: un giorno, il ragazzino di cui si era invaghita la “passò” a tre suoi amici che la stuprarono ripetutamente. Da allora, nel quartiere girò la voce che si era “fatta scopare” da più ragazzi.
Era diventata una facile preda.
Il mese dopo fu rapita dal capo di una banda di piccoli delinquenti e violentata per tutta la notte.
Non disse nulla fino al momento in cui scoprì che il ventunenne stupratore aveva abusato anche di due sue amiche, quindi lo denunciò e, come avviene spesso in questi casi, perse anche l’appoggio dei suoi genitori: rendere la “vergogna” pubblica, avrebbe gettato la famiglia nel disonore.
Prima del processo, arrivarono le intimidazioni e minacce di rappresaglie anche alla sorellina di Samira, ma la ragazza non si fece intimorire ed il delinquente fu condannato ad otto anni di carcere.
Intervistata dopo l’uscita del suo libro, Samira disse che gli otto anni di condanna erano stati ben poca cosa in confronto a tutte le umiliazioni e al dolore che aveva sopportato dopo la fine del processo.
I vecchi amici la evitavano ed i vicini la insultavano. Il padre la batteva continuamente, le sputava addosso, la spinse ad andarsene di casa.
Trascorse “15 anni d’inferno”. Visse sulla strada e in diverse comunità d’accoglienza, in un crescendo di disperazione e autodistruzione.
Come riporta l’intervista qui sotto, Samira fu violentata ancora una volta all’età di diciassette anni in Algeria, da una banda di teppistelli. Disperata, corse con la madre al commissariato, per denunciare l'accaduto:
Il commissario mi chiese : « eri vergine ? » « no, mi sono appena fatta violentare due volte in Francia »
« Allora non si può fare nulla ».
Quindici anni di tormento, odiando tutto e tutti. I suoi genitori che l’avevano abbandonata per la seconda volta, il suo avvocato che non l’aveva chiamata a testimoniare, il sistema giudiziario francese, che non protegge le vittime delle violenze…
Poi qualcosa cambiò. Un altro avvocato, impietosito dalla sua storia, si preoccupò di farle arrivare un indennizzo. In seguito, con l’aiuto di una psicologa, riuscì a placare il dolore che aveva dentro di sé ed uscire da quella depressione che l’aveva accompagnata per tanti anni.
Narrare la sua storia nel libro “l’Enfer des tournantes” concluse quel processo catartico che le permise di ridiventare libera e serena, come lo era stata da bimba.
Divenne madrina del movimento Ni Putes ni Soumises che con la marcia dell’8 marzo del 2003 volle denunciare alla Francia intera l’iniqua condizione delle donne nelle banlieues parigine.
……………………………
Ho visto troppe persone consumarsi dal dolore.
A volte, quando sembra che la disperazione trovi un linimento, è troppo tardi, perché ciò che consuma la mente, molte volte distrugge il corpo.
E allora inizia un processo irreversibile: l'estinzione della causa, non provoca necessariamente l'esaurimento dell’effetto.
Samira Bellil muore di cancro allo stomaco un anno dopo la grande marcia di Parigi.
Aveva 32 anni...
Hommage à Samira Bellil
Ho lasciato il testo in francese, sperando sia comprensibile. Tuttavia, se qualcuno dei miei tre lettori ne volesse la traduzione,-uff!- me la chieda. (NdF)
par Brigitte Allal
Samira Bellil vient de mourir, à trente ans. Elle avait affronté une expérience meurtrière, haine et viols, et ses mots essayaient d’en rendre compte, pour elle, pour les autres : nous ne les oublierons pas, et nous voudrions lui donner une dernière fois la parole. Ce texte est l’intervention qu’elle a faite lors d’un colloque organisé en février 2003 par l’ASFAD et l’ACB, (« Regards croisés France-Algérie : violences exercées à l’encontre des femmes »), dont les actes seront publiés par l’ASFAD et l’ACB courant septembre 2004.
Samira Bellil : j’arrive de Vitry, on a déposé une gerbe pour Sohane (leggi alla fine dell'intervista la storia di Sohane-NdF) , nous avons essayé de susciter un regain d’intérêt dans le quartier, ce qui a été très difficile. Je vais vous parler avec mes tripes et mon cœur, je vais vous expliquer ma démarche : aujourd’hui, j’ai trente ans, ça m’est arrivé quand j’en avais quatorze, ça s’est passé en 1987.
J’ai été violée à trois reprises, il m’a fallu beaucoup de courage pour vous faire un sourire.
Il m’a fallu quinze ans pour m’en sortir, quinze ans, c’est long. A l’âge de vingt-quatre ans, je me suis dit : je ne peux plus passer ma vie à pleurer, dans les larmes, le shit, à boire, à me détruire complètement, à faire parler les autres gars, ça a mis cinq ans pour redevenir humaine, pour cesser d’être sauvage, pour pleurer déjà (je ne pleurais plus), à la fin de ma thérapie, mais merde, ce que j’ai vécu, ça fait quinze ans que je le mange, matin, midi et soir, eux ils sont tranquilles, ils ont payé à la société et non pas à moi, ils ont fait leur peine de prison, j’entendais des mecs dire : de toute façon, elle l’a cherché, je ne rencontrais vraiment aucune compassion, de la part de qui que ce soit, ni de la part des jeunes, ni de la part de mes parents.
Il n’y a pas eu de main tendue pendant quinze ans, quinze ans c’est long quand il n’y a pas de main tendue, c’est là que je me suis dit : Samira, il va falloir que tu expliques ce qui se passe, à tout le monde, ce qui se passe réellement. Je voulais expliquer par quoi on passe, nous les filles dites pas bien, dites « pétasses », on parle toujours des filles sages, sérieuses, c’est l’image qu’on a dans les médias sur les filles qui réussissent mieux à l’école, on parle pas des galériennes, moi je veux qu’on parle des galériennes, je veux qu’on parle de tout ça, toutes ces filles-là, voilà ce à quoi je pense ; je pense à ces jeunes qui ont trente ans, vingt quatre ans, vingt ans, elles ont voulu vivre, on les met dans des petites cases, c’est elles qu’on voit chez le juge, chez l’assistante sociale, c’est tout le temps les mêmes qu’on voit, je pouvais plus supporter ça. Je me suis dit : : Samira, tu vas témoigner et tu vas expliquer un petit peu à ces gens, aux parents, aux frères, aux cousins, aux juges, aux éducateurs, aux animateurs, aux avocats, à plein de monde, quel était notre état d’esprit, ce qui fait qu’on tombe dans un viol collectif, et pas une « tournante », ça m’énerve aussi, ça s’appelle un viol en réunion, on passe aux assises, et pas en correctionnelle pour une affaire comme ça, c’est un crime, c’est puni par la loi. C’est une manière de dénier ce problème aux quartiers, on est dénié du début jusqu’à la fin à partir du moment où on a été victime de ça ; moi je rencontre des tas de jeunes filles qui sont déniées, c’est très éparpillé ce que je dis, je le conçois bien, mais c’est pas normal ce qui se passe.
Je ne suis pas en colère par rapport à ces garçons, je suis en colère par rapport aux adultes, à la justice, au pouvoir.
Je suis en colère par rapport aux éducateurs, aux assistantes sociales, il y a des démarches à faire, on n’est pas costaud pour les faire, j’avais quatorze ans, on me dit faut aller porter plainte, on me dit que c’est la loi, on me dit que c’est mon devoir et mon droit d’aller porter plainte, je vais porter plainte, à partir du moment où j’ai porté plainte, j’avais quinze à vingt gars par jour qui me crachaient dessus, qui me tapaient, qui me forçaient à ce que j’enlève ma plainte, ouais, ouais j’enlève ma plainte, jusqu’à aujourd’hui je n’ai pas enlevé ma plainte, y a eu un deuxième viol, parce que j’avais porté plainte, le mec m’a attrapée dans le RER, il s’est dit : t’as porté plainte, t’as ouvert ta gueule, je vais te le faire payer une deuxième fois ; donc deuxième viol en réunion, je ne dis toujours rien, je ne porte pas plainte, je savais ce qui allait se passer.
Je me tais, il se trouve que nous avons été dix filles à être violées par cet individu, les démarches c’est super grave, faut pouvoir aller voir une association, l’association en question s’est foutu de ma gueule aussi : je vous parle cash, je prends pas de gants, l’avocate est carrément partie au ski, jusqu’à aujourd’hui je ne sais pas pourquoi madame est partie au ski, j’ai pas eu de réponse, elle a envoyé un stagiaire, et ce stagiaire a demandé un franc de dommages et intérêts en ce qui me concerne, moi je chie dessus, je ne vaux pas un franc.
Suite à ça, j’ai continué ma déchéance, ma destruction, y a pas eu un regard. J’ai pas eu d’éducateur qui m’a dit « t’as peut être besoin d’aller voir quelqu’un », « t’as peut-être envie de parler », non, personne me l’a demandé.
Et ça continue encore aujourd’hui, on m’a laissée comme ça, pendant des années : j’avais un juge pour enfants, un éducateur qu’étaient censés s’occuper de moi, j’ai rien eu de tout ça, j’ai été de foyer en foyer, des foyers en éducation surveillée où y avait d’autres agresseurs, pas les miens. Les agresseurs d’autres filles, déjà on se pose la question par rapport au juge pour enfants, y a eu viol collectif : comment se fait-il que l’agresseur soit dans un foyer alors que sa place est en prison ? Les sociétés n’ont pas trouvé autre chose que la prison, en prison il faut les éduquer, leur faire comprendre pourquoi ils ont fait ça, c’est intéressant.
Ce sont aussi des victimes, mais je ne cautionne pas, y a des lois, faut les appliquer.
Je demande pas une loi « spéciale tournante », mais faut savoir que dans l’affaire de Pontoise, les mecs étaient dehors pendant l’instruction, au bout de cinq mois, ce qui veut dire que la jeune fille a dû se cacher, ça va, elle est en Algérie, et encore, parce que je peux vous dire que l’accueil en Algérie, c’est coton, fallait qu’elle en ait, fallait qu’elle soit costaud, la fille.
D’autres affaires, moi, j’ai plein d’affaires comme ça, les gamins ils se retrouvent dehors.
J’ai une affaire qui s’appelle Chloé, Chloé a quatorze ans, elle habite Saint - Denis.
Elle ne connaît pas les codes et les attitudes qu’il faut avoir dans les quartiers, elle arrive dans son quartier, « tiens, je vais me faire plein de copains ». Chloé, naïvement invite tout le monde, « je vais faire une boum », tout le monde n’a pas compris les intentions de Chloé : pour la remercier, on la fait descendre en bas dans la cité, « descends Chloé, on va te parler », ils étaient quinze à l’attendre, Chloé, on l’a emmenée à l’hôpital à Lafontaine, y a un souterrain, ils ont commencé à la massacrer dans le souterrain, ils l’ont violée dans l’hôpital, c’est un infirmier qui l’a sauvée de justesse.
Réveillez-vous, on est en France, on dirait pas, Chloé porte plainte avec ses parents, Chloé a quatorze ans, faut faire des démarches, faut dire ce qui a été dit, faut dire aux parents ce qui a été fait, et je peux vous dire qu’elle ne peut pas le dire, comment vous voulez qu’elle parle de sodomie, de fellation, elle peut pas le dire aux parents, qu’elle s’appelle Chloé, Fatima ou Fatoumata, c’est pour ça qu’elle s’enferme dans ce silence-là.
Cette fille porte plainte, « c’est mon droit, on m’a fait quelque chose », les flics le disent, on va pas leur taper dessus : il y a eu une erreur dans cette affaire, l’adresse de Chloé a été divulguée, on a mis un coup de couteau à son père, on lui a coupé le doigt, on a brûlé sa maison, Chloé on ne sait pas où elle est aujourd’hui, elle ira pas jusqu’au bout de sa plainte, elle a peur, voila où on en est en France, moi je trouve scandaleux que y ait des avocats qui ne se disent même pas qu’il ne faut pas donner l’adresse, avec tout ce qu’on entend, c’est en ça que je suis en colère, on tape du poing sur la table par rapport aux garçons, « oui c’est monstrueux, c’est des monstres », mais elle est où la justice ? Elle fait que dalle, l’affaire d’Argenteuil repasse en jugement en septembre, avec la loi d’appel Guigou, merci.
Elle doit repasser en jugement, elle doit subir ce qui s’est passé pendant le jugement. Les avocats ont été odieux, ça a été de la diffamation vis-à-vis de cette fille, ils ont ramené des jeunes filles qui ont témoigné contre elle, « moi, je l’ai vu en train de sucer soixante bites de noirs », texto, je vous parle texto, à vous, elle s’appelle Amel, comment vous voulez qu’elle se défende ? Elle s’est tue.
Elle m’a appelée, « Samira, je repasse en jugement, qu’est - ce que je fais ? » « Écoute, Amel, c’est ta deuxième chance, il faut que tu dises ce que tu as à dire, mais il faut que tu te construises ». Vous croyez que les éducateurs leur parlent en leur disant : « Amel, il faudrait que t’aille voir un psy », leur expliquent la nécessité d’aller voir un psy ? Aujourd’hui, Amel, elle dit non, « je n’ai pas besoin d’aller voir un psy », voila où on en est.
C’est ça qui me met en colère, toutes ces négligences, les petits blancs d’en haut, qui nous critiquent, « oh, ces petits Maghrébins qui violent, c’est vraiment des sauvages, oh mon dieu ça ne se fait pas » ; ce que vous faites c’est pire, vous fermez les yeux, quand on fait des démarches y a personne, Chloé elle est pas aidée, Amel n’est pas aidée, elle a déménagé trois fois, depuis l’affaire avec sa famille.
Je vais vous expliquer ce qu’est une tournante : l’acte est d’une barbarie sans nom, ces jeunes filles ne peuvent pas en parler. La sexualité est taboue dans les quartiers et dans les familles, comment qu’elles disent : « on l’a sodomisée, c’est pas possible ».
Faut arrêter, il faut expliquer à la famille, mon cas n’est pas une généralité, des familles soutiennent les jeunes, c’est la honte, la honte de dire les choses, il a fallu quinze ans à ma mère pour me regarder, c’est long pour une gamine, je n’allais plus à l’école, j’étais plus en capacité de comprendre, c’est pareil pour Chloé, et pour Amel.
Leur quotidien, c’est faire face à la justice, trouver un avocat compétent, je parle bien de compétence, ça c’est un autre débat : Amel, son avocat veut la mettre sous tutelle parce qu’elle est victime, comme si nous, petites maghrébines, on n’étaient pas capable de dire ce qu’on a à dire, je suis super en colère.
Il faudrait mettre en place des structures, qui aideraient ces jeunes filles, pour l’instant y a rien, y a une coordination à mettre en place dans les démarches qu’on fait, des avocats, des psychologues, des juges, ce n’est pas un quartier qu’elles quittent, c’est une ville, moi j’ai eu quatre villes derrière mon dos.
Ça continue encore aujourd’hui, malgré que j’aie écrit le livre, malgré que j’aie fait ce travail, malgré que je montre ma tête, je vis avec ma peur, jusqu’à la fin de mes jours, ils savent où me trouver.
On ne se rend pas compte des conséquences, pourquoi elles se taisent, les filles, en Algérie comme ici ? La justice ne les aide pas.
A Roubaix, ça fait dix mois que la jeune fille est persécutée, elle a été violée collectivement, dans une école, dans une cité, dans des terrains vagues, durant quatre mois, une gamine de treize ans. Ils étaient plus de quatre vingt les gars, cinquante à Argenteuil, on a réussi à en avoir vingt.
C’est aussi grave que ça, ça fait dix mois qu’elle essaye de refaire sa vie, on l’a retrouvée encore une fois, je comprends pas comment les acteurs sociaux ne l’ont pas aidée à avoir un nouvel appartement, elle en a eu deux, on l’a retrouvée quand même, normal, elle habite à Lille, on la met à Roubaix, super intelligent.
Clara, elle s’en prend plein la gueule, on a tagué dans son immeuble, on lui a dessiné une femme en train de faire une fellation : elle a même pas quinze ans, Clara.
Vous savez ce qu’on lui a dit ? « ou c’est toi ou c’est ta petite sœur ; si tu la ramènes, à dix - huit ans tu finis en Belgique ». Je vous parle de la France, j’ai pas terminé, attendez, j’arrive.
Pour ceux qui ont lu mon livre, j’ai été violée collectivement en Algérie aussi, moi, question poisse, j’en ai une bonne. Suite à mes deux viols, ma mère me dit : « je vais t’envoyer en Algérie, ça te fera des vraies vacances pour une fois », « ouais ok », je peux vous dire que l’Algérie, j’aime pas du tout, j’en ai rien à foutre, encore plus maintenant.
J’arrive, je vois les conditions de vie, je vois des enfants dormir dehors, « c’est quoi ce pays ? », je croyais que l’Algérie c’était un peu comme la France, un beau pays, on a gagné l’indépendance, ça doit être mortel, le choc, les femmes, c’est quoi ces conditions ?
Mes vacances se poursuivent, je fais la connaissance de banlieusards du 93, il se trouve qu’un soir, on va fumer un pétard sur la plage, le truc que je savais pas c’est qu’en Algérie, faut pas aller sur la plage, c’est pas comme la côte d’azur, j’avais quinze ans, je ne connaissais pas les codes, trois mecs me disent « police », ah bon, en short ; « montre-moi ta carte, qui me dit que t’es de la police ? » ils embarquent mes trois copains, « on va te contrôler », je me reçois un coup de poing fulgurant, et j’ai compris ce qui se passait, ils m’ont massacrée de coups, ils m’ont mis du sable dans la bouche, je ne pouvais pas hurler, des coups de pieds, je hurle « aidez - moi », y a personne, ils me sortent un couteau, « tu fermes ta gueule, ou on te tue », y a pas photo.
A genoux par terre, texto, je hurle à la mort, ils m’emmènent dans les buissons, je les supplie « laissez - moi », ils en avaient rien à foutre, y a un barbu pas loin, pour moi, c’est un musulman, « aidez-moi », il se retourne, il continue de dormir.
Toute la nuit, j’ai subi leurs atrocités, pour avoir la vie sauve, j’ai négocié mes bijoux, mes chaussures, j’avais plus rien, ils m’ont laissée comme ça, c’était à Sidi-Ferruch, j’étais hagarde, pleurant, je rentre à l’hôtel, je m’effondre, « ça a recommencé », ma mère ne comprend pas, elle hurle, on va au commissariat, c’est limite, « qu’est-ce que tu foutait sur la plage ? », naïvement : « il y a rien de mal à fumer un pétard, sur la plage », j’étais européenne.
Le commissaire me dit : « tu étais vierge ? » « non, je viens de me faire violer deux fois en France » « On peut rien faire alors », je fais un bordel, je fais venir le commissaire sur la plage de Sidi-Ferruch, il y a une descente, ils ramassent tout le monde, je reconnais mon musulman, je le supplie, « je te connais pas », dit-il. « Monsieur le commissaire, il ment », il me dit de la fermer, c’est dégueulasse, il est mortel, « tu donnes une mauvaise image de nous » ; c’est un pays de merde, j’en ai marre de la langue de bois, j’arrive à l’hôpital, la gynécologue, me dit de m’allonger, elle croit qu’elle va me toucher sans gants, « mettez des gants », « tu la ramènes en plus », elle s’est pris un coup de pompe : plus jamais je vais à l’hôpital en Algérie, je rentre en France.
NdF. Sohane era una ragazza musulmana di 17 anni che desiderava vivere come una qualsiasi teenager occidentale. Un capetto delle periferie, Jamal Derrar, con l'aiuto di un complice, la attirò all'interno di un locale deserto e dopo averla cosparsa di benzina, le diede fuoco.
A Sohane fu dedicata la marcia dell'8 marzo 2003.
Al processo, sebbene la difesa cercò di far passare in ogni modo la tesi dell'incidente, Jamal Derrar fu condannato a 25 anni di carcere (pochi -NdF).
Per una buona parte della sinistra, il mostro divenne una vittima del sistema che aveva "creato" il ghetto.
Fonti:L'Humanitè, Books, Chienne de garde.., Sisiphe, Elue local et après?