Antisemitismo in Europa. Francia, il caso Ilan Halimi
Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 29/05/2009, a pag. 3, l'articolo di Giulio Meotti dal titolo " 'Se questo è un ebreo'. Il caso del Daniel Pearl francese " su Ilan Halimi, ragazzo francese torturato fino alla morte perché ebreo da un gruppo di fondamentalisti islamici.
Roma. “Se questo è un ebreo”, recita il titolo del bellissimo pamphlet di Adrien Barrot. La Francia ha scoperto il sorriso contagioso di Ilan Halimi soltanto dopo la sua morte. Un sorriso che nulla sembra dire di quell’odio e di quella ferocia durata tre settimane nelle mani di una gang di islamisti delle banlieue parigine. “Giovani per i quali gli ebrei sono inevitabilmente ricchi”, ha detto Ruth Halimi degli assassini di suo figlio. La madre di Ilan ha pubblicato il diario di quei “24 giorni” (Seuil edizioni). Ieri Ruth è andata in tribunale a guardare la gang musulmana, in un processo che genera angoscia e scandalo in Francia per come il caso è stato trattato fin dall’inizio, da quel tragico febbraio di tre anni fa. “Quando li osservo, non vedo odio, ma una tristezza immensa”, dice il padre, Didier Halimi. Ruth ripete che l’uccisione di suo figlio è “senza precedenti dalla Shoah”. Youssouf Fofana, il capo “dei barbari”, è entrato in aula con il sorriso, ha alzato un pugno verso l’alto e gridato: “Allah vincerà”. Testa rasata e maglietta bianca, Fofana alla domanda sulla sua data di nascita ha risposto: “Il 13 febbraio 2006 a Sainte-Geneviève des- Bois”. E’ il giorno in cui il corpo di Ilan è stato trovato, nudo e straziato. Quando gli viene chiesto il nome, Fofana risponde: “Africana barbara armata rivolta salafista”. La Francia non ha ancora fatto i conti con questo feroce antisemitismo islamico, che germina all’interno delle sue folte comunità musulmane. Sei anni fa, Sebastien Selam, un dj di Parigi di 23 anni, uscito dall’appartamento dei genitori per andare al lavoro, venne aggredito nel garage del parcheggio dal vicino musulmano Adel, che gli ha tagliato la gola due volte, quasi decapitandolo, gli ha squarciato il volto e gli ha cavato gli occhi. Adel è corso sulle scale del condominio, grondando sangue e urlando: “Ho ucciso il mio ebreo. Andrò in paradiso”. Nella stessa città, in quella stessa sera, un’altra donna ebrea veniva assassinata, in presenza della figlia, da un altro musulmano. Erano i prodromi di una “tendenza” e i mezzi di comunicazione amano le tendenze. Eppure, nessuna delle principali testate francesi riportò il fatto. Lo zio di Ilan racconta che durante le telefonate per il riscatto alla famiglia venivano fatte sentire le urla del ragazzo ebreo bruciato sulla pelle, mentre “i suoi torturatori leggevano ad alta voce versi del Corano”. I rapitori pensavano che tutti gli ebrei fossero ricchi e che la famiglia di Halimi avrebbe pagato il riscatto. Non sapevano che la madre era una centralinista. E che Ilan, per campare alla meglio, lavorava in un negozio di telefoni cellulari. Fu trovato agonizzante, il corpo bruciato all’ottanta per cento, vicino alla stazione di Saint-Geneviève- des-Bois. Seminudo, con ferite e bruciature di sigarette ovunque sulla carne viva e in tutto il corpo, Ilan è morto nell’ambulanza verso l’ospedale. Ruth nel suo libro denuncia che, per non urtare la sensibilità della comunità musulmana delle periferie, il caso venne fin dall’inizio tenuto su un registro basso, la polizia negava l’intento religioso del sequestro e l’identità islamica di tutti i rapitori; la stessa polizia che chiese alla famiglia di non farsi pubblicità e che fece poco, molto poco, per scardinare la rete di famiglie che proteggeva la gang. Decine di persone sapevano delle torture inflitte per tre settimane a quel ragazzo ebreo che sognava di vivere in Israele. Nidra Poller sul Wall Street Journal scrive che “ciò che più disturba in questa storia è il coinvolgimento di parenti e vicini, al di là del circolo della gang, a cui fu detto dell’ostaggio ebreo e che si precipitarono a partecipare alla tortura”. Divenne tutto più chiaro quando l’allora ministro dell’Interno Nicolas Sarkozy annunciò che a casa del rapitore erano stati trovati scritti di Hamas e del Palestinian Charity Committee. Intanto la magistratura francese ha ritirato le copie del magazine “Choc” che ha appena pubblicato la fotografia di Halimi in ostaggio, giudicandola “offensiva”. Si vede Ilan imbavagliato, con una pistola alle tempie e una copia di un giornale. La stessa, identica posa d’una famigerata fotografia di sette anni fa con Daniel Pearl, il corrispondente ebreo del Wall Street Journal decapitato da al Qaida in Pakistan. Il New York Times scrive che “in due settimane e mezzo di processo poco è filtrato sul procedimento”. Si svolge a porte chiuse. Quel che è emerso è senz’altro il tentativo del governo francese di occultare l’odio islamico contro gli ebrei come movente della esecuzione di Halimi. Si è parlato poi della stanza in cui venne tenuto Halimi come di un “campo di concentramento fatto in casa”. Il reporter francese Guy Millière scrive che “le grida venivano sentite dai vicini perché erano particolarmente atroci: gli assassini sfregiarono la carne del giovane uomo, gli spezzarono le dita, lo bruciarono con l’acido e alla fine gli hanno dato fuoco con del liquido infiammabile”. La madre di Ilan aggiunge che durante una delle telefonate alla famiglia i sequestratori trasmisero un nastro: “Sono Ilan, Ilan Halimi. Sono figlio di Didier Halimi e di Ruth Halimi. Sono ebreo. E sono tenuto in ostaggio”. “Come si fa a non pensare a Daniel Pearl?”, domanda Ruth. Gli ultimi giorni di Ilan Adrien Barrot, filosofo all’Università di Parigi, ha scritto per le edizioni Michalon uno straordinario libro sul significato dell’uccisione di Halimi. “Non è stato facile fare il verso a Primo Levi”, dice al Foglio a proposito del titolo del suo saggio, “Se questo è un ebreo”. “Si fatica oggi a capire la crescita enorme dell’antisemitismo in Francia dopo l’11 settembre. Io stesso sono di sinistra e per molto tempo faticavo a realizzare questo antisemitismo nuovo che si nutre della cultura antirazzista. Non possiamo criticare gli immigrati musulmani, così finiamo per accusare di razzismo gli stessi ebrei. Dicono che c’è antisemitismo, ma che la colpa è soltanto del sionismo. Lo sentiamo ripetere ogni giorno. L’affaire Halimi significa che il tabù è caduto e l’antisemitismo si sta diffondendo ovunque in Francia”. Barrot critica la visione pedagogica dell’antisemitismo. “E’ troppo astratta, fondata su un’immagine stereotipata. Siamo resi incapaci di identificare ciò che il crimine ‘dei barbari’ ci mette sotto gli occhi, la cellula germinativa dell’orrore che la nostra ‘memoria’ non cessa ritualmente di esorcizzare. Ilan non portava un lungo caffettano nero, un cappello di feltro, le frange rituali, non portava neppure la kippà. Ilan Halimi portava soltanto il suo nome e fu sufficiente a fare di lui una preda. E’ allora che ho compreso che ormai era ridiventato difficile essere ebreo in questo paese”. La retorica pseudoeducativa sull’antisemitismo è incapace di penetrare l’odio che l’islamismo predica contro gli ebrei. “La memoria dell’antisemitismo è evocata per impedire, proibire, riconoscere la realtà attuale, di chiamare le cose con il loro nome. Eccesso, abuso, dittatura della memoria? Memoria inutile? Memoria vuota piuttosto, che ha immesso nella coscienza pubblica soltanto una nozione completamente astratta. Come se i soli buoni ebrei, gli ebrei degni di essere difesi, fossero gli ebrei morti, trasportati in una sfera astratta e pura, non contaminata da tutto ciò che, nella vita, li espone all’odio. C’è una relazione sinistra tra la morte atroce di Ilan Halimi e l’assenza di mobilitazione massiccia che l’ha seguita. La nostra vigilanza veglia sugli ebrei morti ed espone i vivi alla violenza”. Al processo, i carcerieri di Ilan hanno raccontato che la prima settimana del sequestro Halimi l’ha trascorsa in un appartamento prestato ai rapitori da un concierge. Youssouf Fofana ha pensato a decorarlo di tele “con motivi arancione per coprire i muri”. Ammanettato, con addosso soltanto una vestaglia comprata all’Auchan, alimentato con proteine liquide attraverso una cannuccia, Ilan passò così molti giorni. Per entrare nell’appartamento ci voleva un codice: bussare due volte e poi ancora una. Poi Fofana si è caricato Ilan in spalla e l’ha portato nella caldaia: “Pisciava in una bottiglia e faceva la cacca in una busta di plastica”, racconta uno dei carcerieri, Yahia. Le botte sono iniziate dopo che è fallito il primo tentativo di riscatto. Ma gli episodi più significativi sono avvenuti quando si è trattato di scattare le foto destinate a spaventare la famiglia della vittima, compresa la simulazione di una sodomia con il manico della scopa e uno sfregio alla faccia fatto con il coltello di un imputato, Samir Ait Abdelmalek. Il giorno in cui venne giustiziato, racconta Fabrice, “gli ho tagliato i capelli, Zigo e Nabil (altri due carcerieri, ndr) hanno detto che non erano abbastanza corti e l’hanno rasato con un rasoio a due lame”. Gli hanno tagliato anche i peli del corpo. Per non lasciare alcuna traccia nel covo. Ilan venne asciugato e avvolto in un telo viola, comprato al supermercato all’angolo. Fofana è arrivato nel profondo della notte. Quando Ilan è riuscito a guardarlo in faccia, l’islamista lo ha colpito con un coltello alla gola, alla carotide, poi un altro affondo. Poi gli ha dato un taglio alla base del collo, e al fianco. E’ tornato con una tanica di benzina, gli ha versato il combustibile e gli ha dato fuoco. Finiva così la vita di un ragazzo di 23 anni nel primo paese nella storia ad aver dato agli ebrei diritti civili. Ieri, in tribunale, Ruth ripeteva: “Chiedo ogni giorno a mio figlio di perdonarmi”.
da Liberali per Israele
Leggendo questa storia comprendiamo che nel 2006 le autorità cercarono di negare fino all’ultimo il movente razzista. Forse perché si temeva di provocare ancora una volta ciò che era comunque inevitabile e che sarebbe accaduto alcuni mesi più tardi, quando il sentimento di rivolta delle banlieues, alimentato dalle proteste irresponsabili della sinistra antidemocratica/antisarkozy, portò allo stesso clima di guerra civile che si era vissuto nel 2005, in quei giorni che sconvolsero la Francia.
Isra Pundit nel 2006 scrisse che le autorità ed i media avevano sorvolato su dei dettagli significativi: ad esempio che Ilan era ebreo, che erano ebrei anche i primi quattro target mancati dalla banda dei Barbarian ed infine che i suoi assassini sono musulmani.
The Guardian, riprendendo un articolo di Libération, affermò che i torturatori erano “jobless youths”, insomma, tradotto e commentato, dei poveri ragazzi senza arte nè parte, dei reietti della società (che è colpevole della loro condizione).
Dobbiamo ammettere che in questi ultimi mesi i media, anche Libération, hanno riconosciuto in parte il loro errore. Forse di ciò dobbiamo ringraziare la Bestia Fofana che già nelle prime udienze ha espresso chiaramente il suo sentimento contro gli ebrei. Anche troppo forse. Infatti ha ricusato uno dei suoi importanti legali perché sospettato di avere delle supposte ascendenze ebraiche.
Un atto a dir poco avventato. Difatti l’avvocato è nientepopodimeno che Madame Isabelle Coutant Peyre, moglie dello Sciacallo (Carlos). Colei che ha preso la difesa di Saddam Husseini e di neo-nazisti come Gaurady.
La signora che, dopo le minacce di Fofana alla corte e agli avvocati dell’accusa, si è affrettata a dichiarare alla stampa che il suo assistito è stato vittima di “una campagna di marketing politico e religioso” e che “non è il diavolo, perché se lo fosse, loro (la difesa) sarebbero gli avvocati del diavolo”
Continua a dare adito a polemiche la decisione della Corte di tenere il processo a porte chiuse e per ottenere ciò si è addotto il fatto che fra i 30 imputati, due erano minorenni al tempo dell’assassinio.
Contro questa decisione si erano opposti i legali della famiglia di Ilan, ma inutilmente. Io mi chiedo: se la vittima fosse stata musulmana ed il suo persecutore un ebreo o comunque un francese "doc" la Corte avrebbe agito allo stesso modo?
Credo che si sia intenzionalmente perduta l’occasione di denunciare di fronte ai francesi e al mondo intero il pericolo del nuovo antisemitismo che non è un problema soltanto francese, ma dell'intero Occidente. D'altra parte si è perduta l'occasione di ammettere che il cambiamento di rotta voluto e realizzato dall'allora Ministro degli Interni Sarkozy, con la legge sulla immigrazione del 2006, aveva un senso ed era necessario per tentare di preservare la Francia dalla devastazione provocata dalle fallimentari politiche sociali e integrazionistiche del passato (tuttavia potremmo affermare che le leggi di Sarkozy sono arrivate con qualche decennio di ritardo).
Così é (se vi pare). Intanto vediamo come va a finire il processo. Malgrado tutto, dopo 3 anni di omissioni e di silenzi, finalmente i giornali parlano di questo caso
Su questa vicenda leggi anche THE SUN - ATLAS SHRUGS - L'EXPRESS
Per i "riots" del 2005 leggi qui
Per i "riots" del 2007 leggi qui e qui.