Saturday, October 06, 2007

Toh! Il solito fake!


Click on the picture to watch "Palliwood 2"

Con la fine dell’era Mitterand (pace all’anima sua*), vi sono stati molti cambiamenti in Francia. Diciamo che i nostri cugini transalpini stanno respirando un’aria più fresca e pulita. Per esempio è confortante leggere qui e qui che finalmente dopo sette anni di menzogne il filmato dell’uccisione del ragazzino palestinese a Netzarim (52 secondi girati dal cameraman arabo di France 2) è nuovamente messo in discussione. Ma non dai soliti denigratori della causa palestinese, bensì da un tribunale francese che ha intimato all’emittente France 2 di consegnare il video “integrale” alle autorità.

France 2 è una televisione pubblica che io giudico affine alla nostra RAI Tre di sempre, o alla RAI Uno dell’era Prodi.
Ora i suoi dirigenti si troveranno nell’imbarazzo di estrarre dal cappello magico i minuti mancanti di quel famoso filmato. Per anni rifiutarono di trasmettere il video completo con la giustificazione che le immagini inedite si sarebbero rivelate troppo crude e violente per il pubblico francese.
Palle.
Ormai tutti sono a conoscenza che quelle nuove immagini non esistono, e ad ammetterlo fu
nel 2004 lo stesso legale di France 2 al giornalista di Le Monde Luc Rosenzweig.

Il video che introduce il post svela le bugie del cameraman arabo di France 2 e racconta come furono montate ad arte le sequenze della sparatoria e della finta morte del bimbo. Pertanto possiamo collegare il filmato girato a Netzarim con tutti gli altri tentativi di manipolazione della realtà, che con la complicità di giornalisti ed emittenti occidentali (pensiamo a certe tv italiane), hanno accresciuto in una parte più debole dell’opinione pubblica un sentimento di ostilità contro Israele.

Tuttavia occorre sottolineare che il filmato del 2000 è assai meno "professionale" degli ultimi “falsi” costruiti da “media compiacenti” durante la guerra in Libano del 2006 (Guarda questo che è spassoso).

A questo proposito devo aggiungere che quando RAI TRE trasmise il servizio dell’emittente francese, alcuni amici ed io credemmo si trattasse della solita balla palestinese.
Non soltanto perché già allora diffidavamo di ogni pezzo proposto da Tele Kabul, ma anche perché si notava fortemente l’assenza di sangue. Ebbene qualunque allievo soldato che abbia trascorso un paio d'ore studiando il manualetto di balistica terminale, sarà in grado di raccontarvi gli effetti devastanti di un proiettile ad alta velocità che impatta contro un corpo umano. Il danno non riguarda soltanto la parte intorno al foro/cratere d’entrata, ma sono compromessi anche gli organi ed i tessuti più distanti.
In ogni caso la perdita di sangue è abbondante.
Eppure niente sangue sul bimbo, niente sangue sul padre e - attenzione - nessuna macchia o spruzzo di sangue sulla parete bianca alle loro spalle.

Tempo dopo, la solita propaganda palestinese affermò che il bimbo venne colpito tre volte, mentre il padre aveva in corpo ben nove proiettili nove.
Ridicolo.

Questa farsa, organizzata e trasmessa da France 2, è stata la giustificazione offerta al mondo civile per l’inizio della seconda intifada.
Soldati e civili israeliani furono massacrati per “vendetta” ( Do you remember
Daniel Pearl?).
Una donna kamikaze fu fermata prima che si facesse esplodere all’interno di una scuola.
Il suo intento era di vendicare la morte del piccolo palestinese uccidendo decine di bimbi israeliani.

Mi auguro che France 2, se riconosciuta colpevole del falso scoop (e non potrebbe essere altrimenti), paghi anche per tutto il dolore che la sua condotta abominevole ha provocato in Israele.



Friday, October 05, 2007

No comment

Immaginatelo a Udine....
"Po folc! O soi braurôs di jessi un furlan maumetan!"

Thursday, October 04, 2007

I nuovi progetti educativi della società multiculturale


Da Liberali per Israele riporto un articolo firmato da Renato Farina per Libero.

Proponiamo una notizia ad Al Jazeera. Mondadori, la più grande casa editrice italiana, nel suo settore scolastico dev'essere stata conquistata con una splendida azione di cavalleria araba da qualche emiro, ma forse c'erano anche dei cammelli. I libri di storia per i ragazzini (...) segue a pagina 31 (...) si chiamano "Scambi tra civiltà", autrice Vittoria Calvani. La quale scrive bene ed ha un'idea chiara di questi ultimi millenni: la parte del leone buono e generoso la fanno i musulmani. Maometto è l'eroe pieno di virtù. E Gesù? Gesù ha il suo bel posto nel Corano, e si accontenti: è stato generosamente adottato dall'Islam insieme agli altri profeti biblici. La proliferazione militare dell'Islam è «prodigiosa» e ha una motivazione: il fascino umano dei conquistatori. I non credenti (così sono qualificati cristiani ed ebrei) sotto il regime degli imam e dei sultani non hanno di che lamentarsi. Basta che paghino una tassa in più e la fanno franca, i fortunelli. Certo, ci sono dei problemi: l'islam ammette la schiavitù, ma chi non ha qualche difetto? E via così. Il cristianesimo? Niente. Un fenomeno in fondo minore. Più da vicino. La réclame è: «Libri per la scuola che si rinnova». Prima media, volume uno. Qualche dato banalmente numerico. La trattazione dell'Impero Romano è da pagina 62 fino a 85. Totale 23 pagine. Quelle dedicate all'Impero Islamico e alla "Civiltà araba" vanno da pagina 160 a pagina 197. Totale 37 pagine. Radici islamiche battono radici latine. Nessun capitolo intitolato alla "Civiltà cristiana" o al "Cristianesimo" o a "Gesù Cristo". Il capitolo di Gesù è su internet

Al di là della quantità, anche il giudizio pende da quella parte. Nei capitoli intitolati «Islam» e «Maometto» i paragrafi trascritti nell'indice sono di sperticata ammirazione. Ne citiamo alcuni, caratterizzati da leccapiedismo linguistico: «La religione accoglie i profeti della Bibbia e Gesù» (secondo me, stavano bene anche a casa loro); «I dissidenti si riuniscono nella casa di Cadìgia e di Maometto» (i dissidenti, parola magica, che evoca mitezza e inermità, quando Maometto era notoriamente un predone); «L'arcangelo Gabriele consegna a Maometto il Corano» (non male come fatto storico accertato, neanche Tariq Ramadan osa sostenerlo, ma ai nostri figli Mondadori la passa come notizia sicura); «Maometto predica le virtù delle origini ma è costretto al- l'ègira (esilio)» (anche qui, lo cacciano perché buono). Un titolo dedicato magari alla strage degli ebrei? Figuriamoci. Cristo non è considerato? Certo che in questo oggettivo libro di storia si parla del Nazareno. Ecco il capitolo apposito: «Il Corano su Gesù e il Jihad». Procediamo svelti. Un altro capitolo: «Quale fu il segreto della prodigiosa espansione islamica?». Uno pensa: l'abilità nell'agitare la scimitarra, l'organizzazione guerresca. La risposta è questa, e la citiamo ancora: «Umanità nella conquista». Ci invadono, sgozzano: e sono umani, grazie. Meno male che Carlo Martello non la pensava in questa maniera e neanche Isabella di Castiglia. Altro capitolo: «I non credenti devono solo pagare una tassa». In quel «solo» c'è un mondo di tolleranza e di bontà. Cosa sarà mai. Altri titoli: «La scolarizzazione, base del successo dell'Islam». Be', qui diamo ragione alla professoressa Calvani. Se tutti i libri sono di questo tipo, la scuola è una garanzia di vittoria (per le moschee). E il cattolicesimo? Nel libro non c'è. Se uno vuole sapere qualcosa sul cristianesimo nella storia, bisogna accedere a internet, «se interessa» è «extra-testo». Mica male come discriminazione. Come dire, un'optional. Il motore è islamico, se volete le tendine cattoliche, fate domanda. Premio Mecca per la Geografia

Il libro di geografia che merita il premio Mecca è invece edito da Nuova Italia, «L'iper libro del mondo». Autore Giulio Mezzetti. Non si scappa. Uno deve studiare l'islam sia in storia sia in geografia. Mentre nei volumi dedicati all'Italia e all'Europa il cri- stianesimo è ignorato, in quello dedicato ai «Popoli della terra», cioè al resto del mondo, si dedicano sezioni del volume all'islam e al buddismo. Te lo sei sorbito in prima media. Eccolo che ritorna in terza media. Tre capitoli qui sono per Maometto, vero eroe universale, di storia, geografia, religione, di tutto e di più. Uno dice: parlando dell'America, almeno di quella latina, si suggerirà qualcosa sul cattolicesimo o sui Pentecostali. Niente. Persino i compiti delle vacanze ti addentano il polpaccio per ricordarti chi comanda. Vedi "Melazzurra" di Nicola e Nicco, edizione Petrini. È un quaderno per l'estate, e ha questo capitolo: "Arabi, cro- ciati e monaci". Comincia con questo paragrafo: «Lode a Maometto». Non abbiamo scelto queste perle in una produzione sconfinata. I volumi sono adottati tutti in un'unica sezione, normalissima, in Brianza. Si chiama signora Patrizia la ricercatrice che ha rinvenuto questa dispar condicio pro islamica. Lavora ed è madre di due bambine che vanno a scuola in provincia di Lecco. Invece di chiedere alle figlie solo che voto hanno preso, se hanno fatto gli esercizi di matematica e sono state brave, ha guardato i libri di testo e quello dei compiti della vacanze. E si è accorta che siamo morti, non insegniamo più niente che sia un senso della vita, qualcosa di solido su cui piantare il futuro. Va bene così? Forse sì. Non si protesta nemmeno più. Patrizia mi dice che la Lega sembrava interessata, si è fatta inviare il materiale di questa resa, per un'interrogazione parlamentare, ma - dice la signora - non è accaduto niente. È come se avessimo consumato le forze. Invece Patrizia si ribella. Grazie.
Renato Farina


Odio la caccia...

Sono tornato da un viaggio che dai Carpazi, passando dalle Montagne del Transdanubio mi ha riportato ai Balcani ed infine in Italia.

Chi mi legge, capirà certamente che ha a che fare con un amante della montagna: a volte, parlando dei luoghi visitati, preferisco non riferirmi a città e nazioni, ma a catene montuose attraversate. Tuttavia non desidero parlare ora del mio viaggio. Magari ci scriverò due righe più tardi o domani, sfruttando l’occasione offerta dalle recenti elezioni avvenute in Ucraina.

Ora mi preme raccontare una storia triste. Un fatto accaduto il giorno stesso della mia partenza, proprio dopo aver scritto il post sul Khilafah, qui sotto.

Avverto che facendo fede alla mia scarsa capacità di sintesi, il testo risulterà lunghetto. Tuttavia confermo che è volutamente ricco di particolari ed ho prediletto la forma attiva, affinché l’eventuale lettore non lo abbandoni troppo presto.

Dopo aver inserito nelle bozze il post che intendevo postare sul blog, esco con i miei lupacchiotti e mi dirigo verso la campagna. E’ domenica, purtroppo i cacciatori girano con i loro cani alla ricerca di ingenui fagiani da impallinare.

I miei cani passeggiano allegramente, come sempre sono al guinzaglio. Dopo una mezz’oretta di cammino si dirigono verso un dosso ricco di una vegetazione bassa e fitta, che fa da scudo ad un argine che scende con forte pendenza nel letto di un torrentello spesso asciutto.

Mi faccio largo tra i rovi e salgo fino alla sommità dell’argine con le belve, credendo di trovare il solito stupidissimo fagiano acquattato tra i cespugli.

Non ci sono fagiani, né pernici, nè lepri o altri animali.

Eppure i miei lupi rimangono immobili, mentre le loro code cominciano ad ondeggiare. Mi accorgo che il loro sguardo è diretto verso un punto al centro del torrente in secca.

(NdF:quando dei malamutes avvistano ciò che potrebbe sembrare una preda, agitano la coda in un modo singolare, questo gesto potrebbe sembrare una manifestazione di contentezza, non fatevi fuorviare, è soltanto un particolare tipo di “ferma”).

Guardo meglio e tra un piccolo canneto ed una grossa vasca di cemento interrata (10m x 10m) e colma dell’acqua limacciosa di piogge passate, scopro... un cane. E’ un setter bianco a chiazze rosse/fegato. E’ laggiù, accucciato e…mi guarda e guarda i miei lupacchiotti, ma non si muove.

Chiamo, fischio, lo esorto a venire da me, continua a non muoversi. Ma il suo muso rimane puntato sull’insolito trio fermo sulla sommità di quel triste imbuto di cemento: due cani (due lupi?) ed un umano, uniti da una corda che non svela chi guida e chi viene guidato.

Decido di scendere il ripido argine di cemento prima che ci pensino i miei lupi a trascinarmi giù per il pendio a rotta di collo, come avviene solitamente nei sentieri di montagna. E raggiungo il setter. Mi tengo ad una ragionevole distanza: temo che i lupi possano aggredire quel magrissimo cane che pare privo di forze. Lo osservo attentamente: rimane immobile. Corrisponde il mio sguardo e sembra ascoltare le parole che modulo piano, con calma per tranquillizzarlo. Diavolo, è fin troppo tranquillo. I suoi occhi fissano i miei e poi puntano le belve che scalpitano a pochi passi da me. Comprendo che ne ha paura, ma mi rendo conto che deve essere malato, o ferito perché, pur dimostrando di temere almeno i due membri a quattro zampe dell’insolito trio (rivolge loro un debole ringhio), mi accorgo che a volte il suo sguardo si annebbia e le palpebre si abbassano, come accade ai vecchi o ai bimbi che dopo aver mangiato, con la testa che dondola, corrono il rischio di addormentarsi sul piatto.

Ma questo cane non ha mangiato da ore, ne sono certo.

Tirandomi appresso le belve, mi sposto alla sua sinistra per scorgere delle eventuali ferite o delle contusioni. Pare non vi siano ossa rotte e in ogni caso non vi sono evidenti tracce di sangue. Il setter è magro, incredibilmente magro, ma a prima vista sembra sano.

Ovviamente non posso capovolgerlo per scoprire eventuali ferite al ventre, ma sono consapevole che ferite del genere provocano fuoriuscite abbondanti di sangue e qui per fortuna non ne vedo.

Lì vicino le erbacce e le canne sono pestate, appiattite e “modellate” a formare un cerchio quasi perfetto di circa un metro di diametro. Bene, significa che fino a qualche ora prima il setter non era accoccolato nel luogo dove l’abbiamo trovato. Si trovava ad un paio di metri di distanza, in mezzo al canneto, dove probabilmente ha passato la notte…

Dunque è rimasto in quella zona, almeno 10-12 ore. Seguo con gli occhi il percorso che avrebbe dovuto compiere per uscire da quella trappola. La salita dell’argine è ripida, ma per un cane non dovrebbe rappresentare una grossa difficoltà. Tuttavia, per raggiungere la sommità dell’argine e riconquistare la libertà occorre scavalcare un gradone di cemento alto una quarantina di centimetri. I miei cani sono grossi e forti, ma non credo potrebbero farcela. Il setter è magro e debole, ogni suo sforzo sarebbe stato inutile.

Basta, cerco di indurlo a seguirmi ancora una volta, ma non vengo ascoltato.

Risalgo l’argine con i lupi che oppongono una strenua resistenza e mi metto alla ricerca di un cacciatore. Dopo pochi minuti ne trovo ben due esemplari ai quali spiego che un setter, probabilmente perduto almeno un giorno prima da qualche loro collega “distratto”, si trova all’interno del torrente asciutto e non ha la possibilità di uscirne.
Evito di aggiungere che a mio parere non ne ha nemmeno la volontà.

I due mi assicurano che andranno a recuperarlo per consegnarlo al guardiacaccia che lo porterà al canile, dove resterà nell’attesa del proprietario (nel caso fosse rintracciato).

Torno a casa, ma non sono tranquillo. Le ore trascorrono scrivendo alcune lettere di lavoro e preparando i bagagli, ma continuo a pensare al setter. Pertanto verso le 15.00 decido di prendere l’auto per tornare sul luogo dove un insolito trio aveva scoperto un cane perduto da qualche cacciatore coglione.

Ovviamente questa volta lascio a casa le belve.

Mi fermo a poca distanza dal torrente. Risalgo il dosso e mi ritrovo nuovamente sull’argine di cemento: il setter è nello stesso punto dove l’avevo lasciato ore prima. Si accorge immediatamente della mia presenza e mi guarda come se fossero trascorsi solo pochi minuti dal nostro precedente incontro.

I due cacciatori imbecilli a cui mi ero rivolto forse non hanno nemmeno provato a recuperarlo, probabilmente hanno preferito occupare il loro prezioso tempo ammazzando qualche altro fagiano.

Mentre penso ai calci che vorrei appoggiare sul fondoschiena di quei due rimbambiti e mi guardo intorno nella speranza di rivederli, il mio sguardo si ferma sulla grande vasca colma di acqua piovana. Metto a fuoco e… non riesco a credere a ciò che appare ai miei occhi.

Come se avessi ricevuto un forte colpo alla bocca dello stomaco, rimango senza fiato e lo sguardo mi si annebbia.

Laggiù, nell’acqua verde e limacciosa galleggia il corpo di un altro cane. Un setter bianco a chiazze rosse/fegato, uguale a quello che a pochi metri di distanza, se ne sta accucciato nel suo giaciglio improvvisato.

Immediatamente alcuni pensieri confusi affollano la mia mente: com’è possibile non aver scoperto il secondo cane durante la mia prima discesa nel letto del torrente? Eppure ricordo di aver osservato con attenzione quella enorme vasca di cemento, perché incuriosito dal fatto che contenesse una gran quantità d’acqua che strideva con l’aridità del luogo. Forse il cane era annegato dopo la mia partenza?

Pensieri insulsi subito raggelati dalla ragione.

Il setter era morto molte ore prima, ed il suo corpo era finito sul fondo di quella trappola. I processi putrefattivi lo avevano gonfiato tanto da farlo riaffiorare.

Dopo questo banale ragionamento, i miei occhi si spostano sull’altro cane che a pochi metri di distanza da quella vasca ricambia il mio sguardo. Per un attimo si erge su tutte e quattro le zampe, ma poi ritorna ad accucciarsi sulle sterpaglie.

Rimango fermo, ma i miei occhi ritornano su quel corpo inanimato.Su quella massa bianca e rosso/fegato che una volta era un cane felice e vivace.

Mi faccio del male immaginando l’accaduto: i due cani giungono insieme sull’orlo della vasca. Il cane dominante, probabilmente il maschio (allora il setter che mi sta fissando è una femmina!), è il più esuberante. Scorge qualcosa tra l’acqua verde, dei minuscoli pesci, o delle rane, e si tuffa per gioco, forse per catturarli. Ciò avviene sotto lo sguardo della femmina che lo guarda compiaciuta e rimane all’asciutto (sono molto simili, saranno fratelli?). Il cane nuota nell’acqua che non è molto alta, ma non riesce a toccare il fondo. Si stanca e decide di tornare dalla sorella. Prova a risalire da dove si è tuffato, ma la sponda è alta e dentro la vasca non vi sono appoggi più bassi per fare forza con le zampe posteriori, e scivola nell’acqua. Prova ad issarsi sulle zampe anteriori ancora una due, tre volte ma ricade sempre nell’acqua verde. E beve e sputa e ringhia. La femmina, che fino a quel momento ha creduto che il suo compagno giocasse, è turbata ed inizia ad abbaiare. Il maschio prova ancora, punta le zampe sul cemento piatto, ma ormai si è indebolito e non riesce ad alzarsi nemmeno di un centimetro. Incomincia ad abbaiare nervosamente, mentre la femmina abbaia più forte correndo ora di qua ora di là, da un capo all’altro della grande vasca. Il maschio prova di nuovo e di nuovo affonda. Riemerge e inizia ad ululare, a guaire sempre più forte. Sbatte le zampe davanti a sé terrorizzato, ma ad ogni movimento finisce con la testa sott’acqua. La femmina non smette di abbaiare; non smette di correre avanti ed indietro. Vorrebbe chiedere aiuto, ma non vuole perdere di vista il suo compagno e mentre corre, lo vede provare di nuovo. Vede le sue esili zampe puntarsi sul cemento; lo vede scivolare nell’acqua; lo vede riemergere e lo sente urlare. Il maschio è sfinito. Le forze lo abbandonano e l’acqua lo inghiotte per l’ultima volta.

La femmina non comprende.

Continua ad abbaiare e a correre avanti e indietro per ore, finché sfinita si accuccia e rimane a vegliare quella vasca sperando che le restituisca il suo compagno di giochi.

Non ho immaginato tutto. Ho solo ricordato cosa è accaduto un paio di anni fa, al mio (stupido) lupo, quando in una discarica comunale, si è gettato all’interno di un pozzo di recupero delle acque reflue. Per sua fortuna, io non mi trovavo molto lontano e quando ho sentito le sue urla strazianti ed i latrati della sorella mi sono precipitato verso la discarica, riuscendo a salvarlo (e non è stato facile).

Da allora i miei cani escono sempre al guinzaglio. Ma questa è un’altra storia.

Scendo nel letto del torrente e mi avvicino al setter sopravvissuto. Ho una gran pena. Comprendo che la bestiola non poteva seguirmi perché lì, a poca distanza, c’era il suo compagno.

Le accarezzo il muso. Lei (è una lei, ora ne sono certo), per un attimo mi guarda intensamente, ma poi le sue palpebre si abbassano.

Da quanto tempo non dorme? Da quanto tempo non mangia?

Le porgo uno dei biscotti per cani che normalmente tengo nella mia auto. Lo afferra delicatamente e lo poggia a terra, tra le sue zampe. Poi lo riprende in bocca e, per fortuna, lo mastica. Allora estraggo una decina di biscotti dal marsupio e li appoggio tra le sue zampe. Mangia. Mi sento rasserenato. Almeno un po’.

Senza perderla di vista, telefono ai vigili municipali. NON RISPONDE NESSUNO. Provo due tre volte, inutilmente. Allora chiamo un mio caro amico, gli espongo i fatti e lui mi fornisce il numero telefonico della stazione dei carabinieri più vicina. Il carabiniere di servizio è cortese, sembra deciso ad aiutarmi, anche perché affermo perentorio che non mi muoverò da quel torrente finché il setter non sarà tratto in salvo. Il carabiniere promette che mi richiamerà appena avrà la soluzione e mi saluta.

Dopo una manciata di minuti ricevo la telefonata di una persona addetta al recupero dei cani randagi (un accalappiacani?), mi conferma di essere stato avvertito dai carabinieri e di essere pronto a partire per raggiungere la località del ritrovamento del setter. Tuttavia, vivendo a Palmanova (cittadina a 20 km da Udine), correttamente mi avverte che sarebbe meglio incontrarsi in qualche posto conosciuto, magari un bar nelle vicinanze del torrente. Ciò gli eviterebbe di girare a vuoto per le campagne della periferia di Udine. Ovviamente concordo, tuttavia, mentre gli fornisco le coordinate del luogo dell’incontro, mi chiedo come mai a Udine anche di domenica pomeriggio non vi sia un addetto al recupero degli animali randagi.

Andiamo avanti. Dopo circa mezzora c’incontriamo al posto convenuto, salgo sul furgone della guardia cinofila e partiamo per il recupero. Durante il breve tragitto racconto i fatti, compreso ciò che ho creduto fosse capitato al setter maschio. La guardia è sostanzialmente d’accordo. Ha soltanto un dubbio sui tempi di permanenza nel torrente del cane sopravissuto. Nella nostra zona la caccia con i cani è permessa soltanto di domenica e di mercoledì. Pertanto i due cani si sarebbero perduti il mercoledì mattina.

Probabilmente l’annegamento del maschio è avvenuto lo stesso giorno, nel pomeriggio o durante la serata, quando quelle campagne sono pressoché deserte.

Che tristezza. La cagna avrebbe trascorso quasi cinque giorni senza mangiare, senza muoversi, piangendo il suo compagno.

Arriviamo sul punto del ritrovamento. La guardia scorge il cane, guarda il ripido pendio e se ne esce con un “ Ma è impossibile scendere da qui! Dovremmo recuperarla in un altro modo”. Lo osservo. E’ una guardia vestita a festa, con i mocassini ai piedi ed il vestito buono della domenica. Mentre prendo un guinzaglio dal suo furgone e mi accingo a raggiungere il cane, penso a come potrebbe agire quest’uomo in casi di vera emergenza.

Raggiungo la bestiola, le porgo altri biscotti e la guardo mangiare. Sento la guardia che dall’alto dell’argine grida “ottimo, ora infilale il guinzaglio!”. Ma vaffanculo và. Attendo che il setter inghiotta anche l’ultimo biscotto e quindi le infilo il collare attraverso la piccola testa.

Non sembra capire. Mi guarda con occhi interrogativi.

Tiro il guinzaglio e fa resistenza. Mi fermo; la incoraggio con parole dolci. Ma non si vuole alzare. Allora con una gran pena, la tiro verso di me. E’ costretta a muoversi. La sua coda è tra le gambe posteriori, schiacciata contro il suo ventre. Ha paura.

Si fa letteralmente trascinare per l’erta salita fino al gradone finale, dove l’inutile accalappiacani la solleva e la costringe a salire sul furgone.

La bestiola vede una gabbia e quasi in modo automatico ci si rifugia dentro. Il suo sguardo non è più appannato. Forse la gabbia le ricorda i tanti viaggi con il suo padrone e con suo fratello.

Ce ne andiamo.

Ecco questa storia è finita così.

Non bene, ma avrebbe potuto finire peggio.

Poco prima della partenza per l’Ucraina ho ricevuto una telefonata: era il padrone dei cani, che desiderava ringraziarmi per aver contribuito al recupero della bestiola, nel contempo mi chiedeva le coordinate del luogo del ritrovamento, in quanto sembra che la guardia cinofila l’avesse obbligato a recuperare la carcassa del secondo cane.

Gli ho risposto di non avere il tempo per ulteriori spiegazioni poi, con un giro di parole l’ho mandato affanculo, pregandolo di dimenticare alla svelta il numero del mio cellulare.

Nel caso si fossero persi i miei adorati lupi, li avrei cercati notte e giorno. Non li avrei mai abbandonati come invece ha fatto quel coglione.

E se quel cacciatore del *azzo si fosse presentato direttamente a casa mia, probabilmente avrei agito in maniera diversa. Per fortuna (sua e mia) ha preferito telefonarmi.

Odio la caccia.

Nota: il setter della foto non è la cagnetta della storia, ma le assomiglia molto.